giovedì 21 ottobre 2010

BACHECA EVENTI - TURISMO

Pamplona nei colori d’autunno - Questa è la stagione l’ideale per scoprire il capoluogo della Navarra, tra itinerari storici, passeggiate nei suoi bellissimi parchi, itinerari sulle orme di Ernest Hemingway Pamplona nei colori d’autunno in Week-end Questa è la stagione l’ideale per scoprire il capoluogo della Navarra, tra itinerari storici, passeggiate nei suoi bellissimi parchi, itinerari sulle orme di Ernest Hemingway Non c'è stagione migliore dell'autunno per visitare Pamplona, quando il tempo accende di colori magici il capoluogo della Navarra e il è clima mite. Lontano dal caos de Los Sanfermines, le feste che l'hanno resa celebre in tutto il mondo, la si può visitare con tranquillità e godere di tutti gli scorci caratteristici che offre. Situata a poco più di 400 chilometri da Madrid e lungo la strada che porta a Compostela, Pamplona vanta un ricco passato medievale, ma ha saputo conferirsi una forte impronta di modernità. Il centro nevralgico è la Plaza del Castillo, un quadrilatero che si estende per 14mila metri quadri, teatro di corride fino al 1844, battaglie, tornei, mercati, parate militari e tutt'ora luogo d'incontro per eccellenza dei pamplonesi. Si viene qui per fare compere, bere qualcosa, leggere o semplicemente sedersi e guardare la gente che passeggia. Affacciati sulla piazza si trovano i locali storici come il Café Iruña, il Casino Principal e il Casino Eslava. STORIA Gli amanti della storia Medioevo e Rinascimento troveranno pane per i loro denti in due itinerari d’obbligo. Il primo parte l’antico nucleo medievale, che racchiude tre splendide chiese che in passato servirono anche come fortezze: San Nicolás , in stile gotico su pianta a croce latina con tre navate, la cattedrale di Santa Maria costruita nel XIV secolo su un preesistente impianto romanico e ancora il chiostro e il mausoleo con la tomba di Carlo III. Dal campanile della chiesa fortezza di San Saturnino (patrono della città che si celebra il 29 novembre) i rintocchi della campana di bronzo segnano l'ora d'inizio della corsa all'ncierro, l'evento centrale delle feste di Sanfermines, che dal 7 al 15 luglio di ogni anno vedono decine di folli corridori scappare dai tori liberati nelle strade. Appena fuori dal centro della città si trova la La Ciudadela, fatta costruire su ordine di re Filippo II nel 1571 a causa delle continue incursioni dei francesi. Si tratta di una delle fortificazioni dei più interessanti e meglio conservate in Europa. La struttura originale aveva la forma di un pentagono regolare con cinque baluardi agli angoli. Al suo interno altre fortificazioni ed edifici minori che accolgono mostre, cineforum e dibattiti. NATURA Pamplona è una città verde: più del 20% della sua superficie è occupato da parchi. Il più grande è il Parque Vuelta del Castillo, in stile inglese, arricchito da opere di scultura contemporanea. Il romantico Parque de la Taconera sorge invece su uno dei baluardi delle mura ed è il più antico della città: risale al 1830. Al suo interno uno zoo e molte piante esotiche, alcune delle quali antichissime. Il parco di Antoniutti è l'ideale per chi ma fare movimento all'aria aperta: qui trovano spazio una pista di pattinaggio e un circuito di skate. Altri spazi sono il Parque de la Media Luna - Tejeria, il parco orientale di Yamaguchi e il Campus de la Universidad de Navarra, diventato la zona verde più importante del capoluogo. MITO Ernest Hemingway ha indubbiamente contribuito a rendere famosa la Navarra. Lo scrittore americano è stato spettatore di ben nove edizioni della festa di San Fermín. Vi si recò per la prima volta nel 1924 e da qui trasse ispirazione per il romanzo Fiesta (Il sole sorge ancora). La Navarra rende ora omaggio a questo illustre visitatore un itinerario a lui dedicato. A Pamplona, questo percorso turistico passa per una dozzina di luoghi, di cui gli imperdibili si trovano nella Plaza del Castillo: il Café Iruña, il bar Txoko, e il Gran Hotel La Perla dove lo scrittore alloggiò nella stanza 217, con vista sulla via Estafeta, per poter vedere gli encierros, le corse dei tori. TAPAS Il tapear qui si dice "poteo". Anche a Pamplona come nel resto della Spagna è tradizione andare per bar a bere vino e liquori tipici rimpinzarsi di spuntini, i pinchos. Carne, pesce, vegetali: ce n'è per tutti. Le verdure occupano un posto privilegiato nella tavola della navarra: cardi, erbette, borragine. Tra i piatti tipici i carciofi di Tudela fritti, bolliti, saltati, col prosciutto o con le vongole, le zuppe di verdura, el pisto (caponata), la piperrada (con pomodoro e peperoncino), il gazpacho navarro. Per gli amanti della carne ci sono i chuletones, (bistecche di manzo o vitello), il cordero en chilindrón (agnello cucinato con pomodoro e peperoni), la selvaggina (cinghiale, cervo, fagiani). E per finire dolci invitanti come il Rosco por Reys (ciambella farcita), la torta de txantxigorri (fatta coi ciccioli piccanti), la goshua o la costrada. Perinformazioni: - VISIT NAVARRA

BACHECA EVENTI - NATALE IN ALSAZIA

Il Natale in Alsazia si festeggia dal 25 novembre al 6 gennaio. Per farti vivere l'atmosfera natalizia oltre 100 mercatini natalizi e paesi e città addobbati a festa... Terra accogliente ed elegante l'Alsazia offre le sue ricchezze ai visitatori. L'acqua è una di queste e le Spa diventano sempre più numerose. Entra in questi luoghi d'eccezione per scoprire la Terra del Benessere in Alsazia! . L'Alsazia ti aspetta per festeggiare il Natale ma prima di partire non dimenticare di visitare il sito www.turismo-alsazia.com ATOUT FRANCE in Italia Ente per lo Sviluppo del Turismo Francese Via Tiziano, 32 - 20145 Milano info.it@franceguide.com

giovedì 14 ottobre 2010

BACHECA EVENTI - CULTURA - PRESENTAZIONE LIBRO "CARTOUCHE" 12 ottobre 2010 -

Comunicato Stampa Bibi Bianca presenta il 12 ottobre alle 19 al Kursaal Kalhesa di foro Umberto I “Cartouche”. La storia mai raccontata del ladro-boss che a Parigi creò la mafia, prima che questa nascesse in Sicilia “Era alto appena un metro e cinquanta: viso di zolfo, corpo e muscoli da saltimbanco. Analfabeta, pluriomicida e alcolizzato, nella Parigi della Reggenza di Filippo D'Orléans, a soli vent'anni fu il padrino assoluto, disponendo a suo piacimento di uomini e cose...”. Un ladro, un tombeur de femmes, un boss, un amorale, un anticonformista. L’uomo che creò una “mafia” ante litteram, diventando la spina nel fianco delle istituzioni parigine dei primi del Settecento. È una storia che fino a oggi nessuno ha mai trattato in chiave narrativa “Cartouche”, titolo del nuovo libro dell’attore, regista e scrittore Bibi Bianca, che racconta la vera vita di Louise Dominique, detto Cartouche, l’uomo che riuscì con il suo esercito di otre 2 mila malavitosi a tenere sotto scacco Parigi. Il testo, edito dalla Rubbettino, sarà presentato martedì 12 ottobre alle 19 al Kursaal Kalhesa di Foro Umberto I a Palermo. Il lavoro di Bibi Bianca ripercorre la vita di Cartouche dalla prima adolescenza, quando, ribellatosi al padre, abbandonò la periferia parigina. Sfruttando le sue incredibili capacità da saltimbanco, passò da ladro a capobanda, creando tra il 1704 e il 1711 una sorta di “cosa nostra” made in Parigi che regolava il giro del pizzo e della prostituzione, corrompendo o uccidendo avversari e poliziotti in funzione del gradimento dello stesso leader. Una situazione che le istituzioni parigine non poterono tollerare a lungo, al punto che per bloccare le attività della banda e liberare Parigi dovette intervenire l’esercito. «Questa - dice Bibi Bianca - è una storia straordinaria, perché straordinaria è la vita del protagonista e straordinaria la città che lo creò, fagocitandolo» Non è tutto. Chi acquisterà il testo troverà all’interno una sorpresa: una dettagliata mappa di Parigi con tutti i luoghi dove ha vissuto e agito Cartouche. Alla serata sarà presente lo scrittore Bibi Bianca. Il libro sarà presentato da Mario Azzolini (giornalista Rai), affiancato da Eleonora Lombardo (collaboratrice del quotidiano la Repubblica-Palermo). La presentazione sarà inoltre accompagnata dalle musiche del trio composto da Adrian Buciu al flauto, Luciano Saladino al violino e Andreea Timiras al violoncello. Insieme eseguiranno alcune Suites di Marin Marais (barocco francese). CONTATTI Pubbliche relazioni e comunicazione (Tiziana Caccamo), tcaccam@libero.it Ufficio stampa 333 5762232 (Vassily Sortino), vassilysortino@hotmail.com

sabato 9 ottobre 2010

UN VECCHIO DEBITO - GIUSEPPE GARIBALDI -

Un vecchio debito All’inizio degli anni ottanta venni invitato da alcuni amici a visitare una mostra filatelica, iconografica e documentale su Garibaldi, allestita alla Maddalena. Non avevo mai visitato l’Arcipelago e l’idea di recarmi anche a Caprera presso la casa dell’Eroe dei due mondi e sulla sua tomba, mi convinse ad accettare l’invito. Era un maggio fresco e limpido come gli anni della giovinezza. A Palau mi imbarcai su un piccolo traghetto che mi portò pigramente alla Maddalena, solcando lieve l’acqua inquieta di quella laguna ammaliante che si forma tra le isole e la costa. Dedicai il primo giorno alla visita dei luoghi garibaldini a Caprera: la casa, il piccolo museo, l’albero di Clelia, il ponticello, la tomba monumentale e le sue iscrizioni: tutto evocava il Generale e la sua vita avventurosa. Affioravano alla memoria le gesta, le battaglie, gli errori e i pentimenti del Condottiero: coraggio, miseria e grandezza, confusione ed ingenuità, ed involontariamente cercavo un nesso tra questo luogo selvaggio e remoto a lui tanto caro, e la sua vita idealistica, romantica e tempestosa. Tornarono alla mente i suoi versi: “Sulle tue cime di granito io sento di libertade l’aura, e non nel fondo corruttore delle reggie, o mia selvaggia solitaria Caprera” Le isole del vento L’arcipelago è uno dei posti più belli del Mediterraneo e affascina al primo sguardo. Le sue acque ipnotiche sembrano diamanti liquidi e trasparenti: bianchi, verdi e d’ogni celeste conosciuto, mentre più lontano l’onda s’increspa, indugia e si spande in un raro azzurro oltremare che lo sguardo possiede solo per un breve momento. Le colline e le coste granitiche cangiano colore durante il giorno: dal bianco al grigio al rosa, incastonate nel verde intenso della vegetazione mediterranea, ancora in buona parte selvatica, che diventa brillante e poi cupo col trascorrere delle ore, tosto che il sole declina segnando inesorabile il tempo che fugge lontano e si separa dalla nostra anima. E nessun tramonto compete con quell’occhio immobile della storia, rosso e ardente, che si staglia basso all’orizzonte, contro un cielo che non perde mai il suo azzurro brillante ed infinito, finché non si arrende l’ultima luce del giorno: poi è la notte silente. E nella tenebra muta, nel vortice solitario dei ricordi, il profumo delle essenze selvatiche diventa sempre più fresco e suadente al sonno dei giusti e tagliente per la coscienza che rimorde. Avanzava nella notte il Maestrale, tenue ed impalpabile come il velo nero che avvolge i destini, lieve ed inesorabile come l’ultimo respiro. D’improvviso riprese forza quel vento indomito che da sempre tormenta questi scogli e sembra deformare gli alberi con la sua persistenza, e li piega e li arde con la salsedine amara. L’Arcipelago sembrò il luogo ideale per la memoria eterna, il moto perpetuo della vita e la stasi dolorosa del rimpianto che tormenta le anime travagliate. I ricordi struggenti dei popoli umiliati e gli eroi dalle mani insanguinate, avanzavano immobili portati dall’onda come ombre dell’Ade e poi fuggivano nel nulla senza toccar la riva, rapiti dalle lame affilate del vento sibilante. Un soffio vivido e mortale, carico dei suoni delle battaglie e del cozzar delle baionette: un turbine che spande un brivido latente, l’orrore insensibile che attraversa la storia. Si udiva nell’aria fredda il dolore delle generazioni: un grido senza suono che diventava solo il tic tac di un orologio senza lancette. E il tempo così svaniva e si mutava in memoria. La stanza d’albergo, Il nido dell’aquila se ben ricordo, aveva un piccolo terrazzo panoramico tra il mare e il colle. Una roccia enorme di granito candido incombeva alle mie spalle e li da presso, un mare ormai nero spirava sussurrando agli scogli lusinghe incomprensibili. Fissai per un tempo breve ed interminabile l’ultima onda che si frangeva sempre uguale contro il suo destino, e mi sorpresi smarrito in un pensiero indecifrabile che svanì assorbito dalla realtà che mi ridestava. Volsi infine con fatica lo sguardo alle stelle che tremavano brillanti contro la luna sottile e indifferente: e così vagamente pensando all’eterna adolescenza dell’umanità, mi addormentai indugiando in quel momento del trapasso, in quella piccola morte che ogni sera ci introduce dal pensiero al sogno, deformando il primo e realizzando il secondo. E al non essere ci abbandoniamo felici di lasciare per un breve momento le fatiche della realtà, la follia della ragione e del vivere la trama fitta che mai ci abbandona. Il giorno irruppe dal nitore dell’Est. Svanirono i fantasmi nella luce nascente. Ci recammo a visitare la mostra. Interessante e varia con tanto materiale storico, iconografico e filatelico sul Generale e le sue imprese. Naturalmente tra i quadri dell’esposizione, non si parlava d’altro che della vita e delle imprese del Nizzardo e alcuni appassionati cultori mi mostrarono diversi documenti in copia: il primo era un lettera di Garibaldi all’Ufficio delle Imposte di Sassari con la quale il Generale dichiarava di essere impossidente e di non aver soldi per pagare le tasse. Mi pare datata 1867. Un altro documento invece era la copia dell’atto di concessione dell’intera Isola di Caprera a Garibaldi da parte del Regno d’Italia. Altri atti riguardavano varie richieste di Garibaldi di carattere materiale, come l’istanza di spostamento del ponte che gli impediva di borghesare con la sua barchetta a vela. Imaruhy Invero Giuseppe Maria Garibaldi, questo il suo nome completo, registrato a Nizza in francese Joseph Marie Garibaldi, aveva acquistato il primo nucleo di Caprera con la piccola eredità pervenutagli dalla prematura scomparsa del fratello minore Felice che in alcuni documenti commerciali firma “Garibaldy”. Curiosa circostanza vuole che il padre venga nominato in alcuni atti civili come “Garibaldo” mentre anche lo zio firmava “Garibaldy”. Ed in tema di nomi, quando il Generale aderì alla Giovine Italia, dopo il primo incontro con Mazzini, nell’ambito di quella Organizzazione prese lo pseudonimo di Giovanni Borel (in ricordo di Giuseppe Borel, patriota fucilato insieme ad Angelo Volonteri nel 1834). In Sud America lo chiamavano Don Jose oppure El Coronel: non era ancora l’Eroe dei due mondi e dalle tante anime. Avevo letto alcune biografie del Generale e i dubbi superavano le certezze. E mentre si discuteva dei tanti episodi controversi, seguivo in modo binario pensieri e parole, e tornava alla mente un episodio: Garibaldi piange quando apprende della fine del Regno di Francesco II a seguito della caduta di Gaeta nel 1861. E ancora le note di suo pugno nel 1860, dopo Teano, “Donato il regno al sopraggiunto re”: perché “donato”? I conti non quadravano e le fonti erano del tutto incoerenti. Troppi misteri. Assordanti le pochissime parole bisbigliate da Garibaldi sull’eccidio di Imaruhy durante la guerra di secessione dal Brasile della Repubblica del Rio Grande del Sud. Il Generale combatteva a fianco dei repubblicani secessionisti ed eseguì l’ordine di saccheggiare, di mettere a ferro e fuoco quella cittadina, rea di esser tornata dalla parte degli imperiali dell’infante Don Pedro II, quando questi ne avevano brevemente ripreso il controllo. Fu una strage di civili e gli uomini al comando di Garibaldi si distinsero per l’efferatezza dei delitti contro la popolazione inerme. L’eremita di Caprera affermerà in diverse versioni ed interviste per biografie, di aver frenato a colpi di sciabola i suoi lanzichenecchi nel tentativo di difendere “almeno la vita dei civili”, ma ammette nel contempo che questo freno fu tardivo. E leggendo oltre non appare veritiero che vi sia riuscito, dal momento che egli stesso confessa che è “Impossibile narrare minutamente tutte le sozzure e le nefandità … io non ebbi mai una giornata di tanta nausea per l’umanità”. Per sedare le belve ubriache che prima aveva scatenato ed ora non riusciva a tenere a freno ricorda: “Infine, con minacce, percosse ed uccisioni (sic), si pervenne ad imbarcare quelle fiere scatenate”. Dunque per ammissione dello stesso Garibaldi, per riportare la disciplina ordinò e consentì che venissero passati per le armi alcuni dei suoi uomini che egli stesso definisce “fiere”. Incomprensibili rimanevano le bizzarrie del Generale, come quella di chiedere a Giuseppe Mazzini le “Lettere di marca” per fare il corsaro ed aggredire i legni Sardi e di Stati “nemici” in Sud America, come se Mazzini (che non rispose) rappresentasse uno Stato sovrano. Quelle lettere gli verranno invece rilasciate dal Governo del Rio Grande del Sud ed a questa attività piratesca contro i legni brasiliani, si dedicherà per qualche tempo, con alterne fortune. L’uomo dai mille volti Eroe e corsaro quindi, e spietato all’occorrenza. Ma a Caprera Garibaldi era pastore ed agricoltore. Sull’Isola deserta si rifugiava nelle pause di quella vita confusa, convulsa ed avventurosa, dai troppi avvenimenti e dalle eccessive contraddizioni. E’ noto che gli uomini ricchi di vita spirituale ed ideale, amano la solitudine sopra ogni cosa. Non potendosi uniformare al mondo dei comuni mortali, si isolano mentalmente ed a volte fisicamente, per crearne uno personale: una realtà separata. Garibaldi affermava: “Se qualcuno venisse ad abitare nell’Isola mi troverei un altro rifugio”. A Jessy Wite Mario confessava: “Voglio morire in un luogo deserto”. Il Generale rifugge le folle e la mondanità, e spesso anche l’umanità; appare sfiduciato in merito alle qualità morali dell’uomo ed alle sue speranze di redenzione e di autogoverno, ma contemporaneamente combatte strenuamente per la “liberazione” degli oppressi e chiama attorno a se tutti gli uomini “di buona volontà”. Si proclama Legato Apostolico e odia la Chiesa di Roma. Chiede una lapide e dispone d’essere arso con essenze selvatiche. Repubblicano e monarchico per necessità, afferma infine più volte che il miglior Governo è senza dubbio la Dittatura. Distrugge il Regno delle Sicilie e piange per la sua fine. Un uomo in perenne lotta con se stesso. Questo forse è il nesso: Garibaldi è l’uomo delle contraddizioni e Caprera e l’icona più significativa di ogni contrasto tra ragione e sentimento, tra solitudine e universalità, tra spirito e materia, tra la natura ostile e la meraviglia del Creato. Ripresi a girovagare discutendo tra i quadri esposti ed il mio interesse per l’argomento era evidente come il mio giovanile entusiasmo. Verso la fine della mattina, che arrivò repentina, si avvicinò a me un vecchietto, ben oltre gli ottanta. La faccia solcata dall’aratro dei giorni e gli occhi cerulei che snudavano un animo mite. Mi disse: “Sono Giovanni Canepa: ho sentito quanto lei sia interessato alla vita del Generale”. Risposi: “Raccolgo materiali e documenti che lo riguardano. E’ un personaggio complesso, a volte indecifrabile, ed io sono attratto dagli enigmi”. Mi guardò negli occhi, sollevando con fatica lo sguardo ed il collo piegato dagli anni, e continuò: “Se ha tempo, le voglio raccontare una storia che riguarda Garibaldi”. “Certo che ho tempo!”, risposi spezzando la sua ultima vocale. Il racconto di Vannantò Iniziò il racconto: “La mia è una famiglia maddalenina da lungo tempo, anche se la nostra origine è genovese. I miei avi vennero qui forse all’inizio dell’Ottocento. Mio nonno materno si chiamava Giovanni Antonio ma tutti lo chiamavano Vannantò: era fabbro e maniscalco, ma come tutti, per arrotondare faceva piccoli lavori in campagna, qualche giornata da bracciante quando capitava. L’Isola era povera e poco abitata e bisognava arrangiarsi come si poteva. Un giorno, forse nel 1867, nonno lavorava a Caprera in un piccolo orto estivo non lontano dalla casa bianca di Garibaldi. Era mal vestito: a quei tempi un pantalone, una giacca o una camicia potevano rappresentare un lusso. Il Generale poco lontano accarezzava Brunetta la sua mucca preferita; vide nonno male in arnese, curvo sulla terra con in testa un cappellaccio di paglia pieno di buchi e gli fece cenno di seguirlo in casa. Nonno lo segui senza fiatare. Nell’Arcipelago tutti lo conoscevano, lo chiamavano il Generale e basta: lo lasciavano tranquillo, non lo infastidivano e lui era grato per questa loro riservatezza. Diversamente gli ospiti stranieri lo tormentavano. Arrivavano continuamente dalla Penisola e da tutta Europa. Specialmente dall’Inghilterra dove era considerato il primo tra gli eroi moderni e paragonato a quelli dell’antichità classica. Dicevo, nonno lo seguì in casa ed il Generale aprì una cassapanca di legno piena di vestiti. Tirò fuori la divisa da generale dell’esercito sardo-piemontese, quella che indossava in Sicilia e a Napoli, e gliela regalò berretto compreso. Nonno rimase di sale. Non sapeva cosa dire, e forse non comprendeva a fondo il significato di quel gesto. Fatto sta che il giorno dopo andò a zappare l’orto vestito da generale. Qualche mese dopo, mentre in alta uniforme era intento a falciare l’erba, si avvicinò a lui una delle tante signore inglesi che facevano visita a Garibaldi, arrivando con i grandi velieri che lenti ancoravano al molo della Maddalena. La signora rimase immobile ed incredula: non era spettacolo di tutti i giorni vedere un contadino vestito da generale e quindi gli chiese in un italiano improvvisato: “Buon uomo chi vi ha dato questa divisa militare?” Vannantò drizzò su la schiena dolente, si tolse il cappello, portò il dorso di una mano alle reni e prima di rispondere ci pensò su un momento. Poi le disse: “Signora è un regalo del Generale”. “E perché vi avrebbe fatto questo regalo?” “Non so, forse a lui viene troppo stretta” “Quanto volete per vendermi questa divisa?” “E perché dovrei venderla a Voi?” “Perché io vi darò quello che chiederete” “Ma io non chiedo nulla” La signora si spazientì e riprese: “Quanto guadagnate in una giornata di lavoro?” “Una Lira” “Bene, vi offro cento Lire per questa divisa”. La cifra era considerevole: un’offerta così non si poteva rifiutare. “Va bene, ve la vendo, ma datemi almeno il tempo di tornare a casa e cambiarmi, sa io sotto non ho …”. Così nonno vendette la divisa di Garibaldi alla gentildonna inglese e con i soldi riparò il tetto della casa e comprò 6 capre e un vitello. Qualche tempo dopo il Generale ripassò vicino l’orto dove lavorava Vannantò e si accorse che non indossava più la divisa ma i vecchi e logori panni in cui le toppe erano peggio dei buchi. Si fermò e gli chiese: “Perché non indossi più i vestiti che ti ho donato? “Generale una signora …”, e gli raccontò l’accaduto. Garibaldi ascoltò in silenzio il racconto ed alla fine gli disse: “Vedi … il popolo purtroppo viene sempre spogliato dai parassiti, in un modo o nell’altro con le buone o con le cattive, nobili e preti ottengono sempre ciò che vogliono”. Cercò di giustificarsi, ma il Generale gli fece cenno di star zitto che non vi era bisogno di parole e riprese: “Vieni a fine giornata a casa mia”, e andò via. Vannantò rimase perplesso, ma alle 18,00, finite le dieci ore di duro lavoro, andò a casa del Generale. Lo trovò in un piccolo locale adibito a deposito attrezzi. “Entra“ gli disse e gli mostrò subito una medaglia di bronzo che da un lato recava l’effigie di Vittorio Emanuele e dall’altra una scritta. Pendeva da un nastrino tricolore fissato all’appiccagnolo. “Sai leggere?” Gli chiese. “No Generale, lavoro da quando avevo sei anni e nessuno mi ha mai insegnato.” “Leggerò io per te, ascoltami attentamente:”ITALIA E CASA DI SAVOIA LIBERAZIONE DI SICILIA 1860”. Detto questo pose la medaglia su una piccola incudine e la colpì con forza più volte, con una vecchia martellina. Poi la riprese e spezzò l’appiccagnolo, quell’anellino in cui era infilato un nastrino tricolore. “Ora questa medaglia è tua e sono sicuro che non la venderai mai” Nonno non capiva: si sentiva umiliato e deriso, disse sommessamente: “Ma generale … perché?” “Questa medaglia che il Re mi ha mandato, non mi fa onore e non la merito perché non ho liberato la Sicilia e neanche i siciliani, e tanto meno quelli che come te si spezzano la schiena senza speranza e senza futuro. Non la voglio in casa, non voglio più vederla perché è il simbolo del mio fallimento. La terrai tu con questi segni che vi ho inciso per sempre, e quando sentirai che la speranza nel domani ti abbandona, la getterai in fondo al mare”. Il Generale si fermo un attimo e guardò lontano verso l’orizzonte, poi riprese: “Declina e cade il sole sconfitto … e sono troppi i ricordi e gli errori che mi tormentano in questo lungo inverno della mia vita. Ti racconterò una cosa che non ho mai detto a nessuno. In Brasile, a Imaruhy durante la guerra civile una giovane donna fuggiva per la strada trascinando per un braccio un bimbo troppo piccolo per correre. Fuggiva da noi che credevamo di portare la libertà e la fratellanza e intanto sparavamo sui civili e li passavamo a fil di spada. Urlava la sua paura senza fine quando il piombo le attraversò la gola ed il suo grido si trasformò in un fiotto di sangue che esplose dalla sua bocca. Due passi ancora e l’anima l’abbandonò. Ed io rivedo spesso nei miei incubi quella donna e la sua voce, il suo grido verso il cielo che diventa liquido e rosso e poi il suo piccolo con le mani sugli occhi, in ginocchio accanto al cadavere.” Il racconto finì così. Mi ritrovai immobile, Canepa mi guardò di nuovo senza dire nulla: prese dalla tasca un pezzo di stoffa che avvolgeva una medaglia che mi porse stretta tra l’indice ed il pollice. Esaminai la medaglia: era autentica, una di quelle che vennero distribuite dopo la “Campagna di Sicilia” ai combattenti, coniate in forza del Decreto Luogotenenziale delle Province Siciliane del 12 dicembre 1860. Recava i segni descritti nel racconto. “Nonno la diede a mio padre e questi a me” “Molto interessante, chi sa quante volte avete raccontato questa storia” “Molte volte … specialmente a me stesso: io vivo solo da sempre, solo come questi scogli di granito. La mia vita è svanita nel tempo in cui la schiuma dell’onda ritorna acqua. Prendete voi questa medaglia, ve la regalo a patto che prima o poi scriviate questa storia”. Non sapevo cosa rispondere ma accettai il prezioso cimelio che ora vedete nella foto. Sciolgo dunque oggi questa vecchia promessa, sperando di non aver dimenticato nulla del racconto di Vannantò. Seppi in seguito che Canepa era passato a miglior vita nel 1987. Trapassò alla dimensione ulteriore durante l’oblio del sonno e quella piccola morte divenne definitiva per la sua forma terrena. La sua anima credo sia rimasta a Caprera insieme a quella del Generale.

CULTURA ALLA RAI - RAI RADIO 3

La settimana di Fahrenheit comincia con Alberto Melloni (con noi lunedì), che ha curato i due densi volumi del Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento (Il Mulino). Le interviste di apertura proseguono, martedì, con lo storico Salvatore Lupo, autore de Il passato del nostro presente. Il lungo Ottocento 1776-1913 (Laterza). Mercoledì ci aspetta un viaggio intenso nell’universo della maternità, con Valentina Furlanetto che ha pubblicato Si fa presto a dire madre (Melampo). Giovedì parliamo di dio e ateismo col filosofo Giulio Giorello, autore di Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo (Longanesi). Infine venerdì sarà nostro ospite un noto rappresentante della filosofia francese contemporanea, André Glucksmann. Per il "Libro del giorno”, lunedì è con noi lo scrittore israeliano Meir Shalev, a Roma per il Festival Internazionale di Letteratura Ebraica (9-13 ottobre), per parlarci del suo E’ andata così (Feltrinelli). Martedì l’italianista Alberto Asor Rosa presenta il suo ultimo romanzo, Assunta e Alessandro (Einaudi). Mercoledì Caterina Bonvicini ci racconta Il sorriso lento (Garzanti). Giovedì Jean-Michel Guenassia, autentico fenomeno dell’ultima stagione letteraria francese, porta a Fahrenheit Il club degli incorreggibili ottimisti (Salani). Chiudiamo la settimana con Andrea De Carlo per il suo nuovo libro, Leielui (Bompiani). Il "Vocabolario" della settimana, proseguendo il ciclo “vocabolario migrante”, è realizzato da Anna Mahjar-Barducci, scrittrice e giornalista italo-marocchina. Mentre il poeta Claudio Recalcati ogni giorno presenterà un’opera dalla sua raccolta Microfiabe. Ricordate anche che è ripartito il Passalibro!!! Hai un libro che hai letto e ti è piaciuto? Vuoi condividerne il piacere della lettura con qualcuno anche se non lo conosci? Allora sei pronto per il PASSALIBRO DI FAHRENHEIT! Si fa così: - Incolla sul libro che vuoi fare girare l'etichetta che vedi qui di fianco - Lascia il libro dove vuoi (su una panchina, in treno, in autobus, in chiesa, in un cortile...) - Facci sapere via mail il titolo del libro, dove l'hai lasciato e il tuo telefono - Noi ti richiameremo e seguiremo il viaggio del tuo libro in trasmissione. Come sempre, potete contribuire a Fahrenheit scrivendo mail e SMS (al numero 335 5634296) sui i temi del programma, partecipando alla Caccia al Libro e recensendo i libri che amate (o che detestate) attraverso la registrazione del vostro Youbook: telefonicamente al numero 06.3724737 o con l'invio di un file audio o video all'indirizzo fahre@rai.it. Buon ascolto su Radio3. La redazione di Fahrenheit www.fahre.rai.it fahre@rai.it