giovedì 21 maggio 2009

BACHECA ARTE

Il “sollazzo” della Cuba può sembrare, ad un primo distratto, sguardo un monumento strutturalmente integro, ma è sufficiente una “lettura” appena attenta per scorgere i guasti causati dal tempo, ma principalmente e ancora una volta, dall’uomo.

La Cuba prospetta su Corso Calatafimi, non distante dal Palazzo Reale di Palermo. Cessata la sua funzione di “sollazzo” andò incontro ad un graduale deterioramento, accentuato dall’uso improprio al quale fu destinata nel periodo borbonico, quando fu adibita a quartiere di cavalleria.

Nel 1897 Gastone Vuillier nel suo libro “La Sicilia” scriveva: Uno degli avanzi più interessanti dell’arte araba, la Cuba, è perduta nella corte di una caserma di cavalleria, sul Corso Calatafimi. Una iscrizione la indica come dimora del Re Guglielmo II; essa porta la data del 1180. Ma ciò non prova ai miei occhi che l’edificio non fosse costruito dagli emiri. Sotto i Normanni, sotto la dominazione angioina, ed anche sotto gli Spagnoli la Cuba, residenza reale, era contornata da un magnifico parco. Oggi la Cuba non è disgraziatamente altro che una rovina”.

Il Vuillier, non si limitò dunque a considerazioni derivanti dall’osservazione del monumento e del suo stato conservativo, ma azzardò considerazioni di ordine storico e contro ogni logica, ma immergendosi completamente in quella atmosfera romantica che tanto ha dato, ma anche tanto travisato, fa risalire la costruzione della Cuba al periodo della dominazione musulmana, teoria, di sicuro effetto emotivo, ma assolutamente improbabile.

Nel 1936 la Cuba era già un rudere, quando il soprintendente F. Valenti la restaurò, procedendo come sua consuetudine, ad ampie ricostruzioni, atteggiamento che abbiamo già riscontrato, con dubbi risultati, nel “sollazzo” dello Uscibene.

In tempi relativamente recenti la Cuba è tornata ad uso di Caserma; strano destino per un palazzo che era stato pensato e realizzato al solo scopo di procurare benessere, pace e svago ai grandi re normanni. Nel 1998, la Cuba è stata isolata dalla caserma con la costruzione di un muro, separazione indispensabile alla fruizione dei visitatori di un monumento che comunque, ancora oggi, è mortificato nella visione d’insieme a causa dello spazio limitato concesso all’osservatore.

Da cosa derivi esattamente il nome di Cuba, non lo sappiamo e supporne, come ha fatto qualcuno, che esso derivi da “cupola” non è del tutto peregrino dato che in arabo una struttura semisferica posta a copertura di un edificio viene chiamata appunto “cuba”, ma questa soluzione diviene poco probabile dall’osservazione critica del monumento perché il palazzo, molto probabilmente, non fu mai coperto da una cupola.

Forse tale nome (tesi non del tutto da rinnegare), come ipotizzato dal Bellafiore, voleva indicare un padiglione di soggiorno diurno.

Svettante, pur nella massa compatta, la Cuba, al pari della Zisa, si impone per l’elegante struttura cristallina, nonostante l’ermetica stereometria, lo stile costruttivo di derivazione musulmana, dove l’importanza del materiale impiegato è posta alla pari dal senso poetico che scaturisce dal monumento nella sua interezza.

Ci troviamo di fronte ad un elegante “involucro” che sigilla quanto contenuto in esso, l’immobilità dei caldi conci di tufo, non viene alterata, ma anzi arricchita, dalle modanature.

I quattro lati sono segnati dalle grandi arcate cieche a doppia ghiera, e dalle finestre anch’esse cieche.

La fascia d’attico, svela le origini del monumento con fregi grafici arabi eleganti nel disegno e delicati nel contenuto poetico.

Nonostante la similarità con gli altri monumenti in precedenza trattati, la Cuba si differenzia da questi per le soluzioni singolari che caratterizzano la sua edificazione.

La Cuba fu eretta nel 1180 da Guglielmo II, nel parco reale conosciuto come Genoardo, da “gennat al-ard”, cioè il Paradiso della Terra. Il complesso, estremamente elegante e raffinato, fu pensato e realizzato esclusivamente come padiglione delle feste, infatti nessuna sua parte sembra concepita quale abitazione vera e propria.

Collocato originariamente al centro di un laghetto, vi si accedeva attraverso un ponticello, continuava così quel gusto dell’architettura isolata e specchiantesi nelle acque di un bacino artificiale voluta dai califfi abbasidi e che era stato ereditato dagli aghlabidi e dai fatimidi.

La figura perfettamente geometrica della Cuba è articolata sui quattro lati da quattro avancorpi disposti secondo gli assi principali, alla base si aprono poche finestre, ma la straordinaria grandezza dei paramenti esterni è resa vibrante dal movimento dei rincassi e dagli alleggerimenti delle piccole nicchie.

L’ingresso era disposto secondo l’asse maggiore, probabilmente sul lato ovest, nonostante l’iscrizione metrica che orna il cornicione d’attico, rilevando le origini del “sollazzo”, inizi sulla facciata opposta a nord–est.

L’ interno è diviso in tre zone, la parte vestibolare composta da una sala quadrata con tre profonde nicchie che in alto erano chiuse da “muquarnas” (stalattiti), una di esse, ancora esistente, a confronto con quelle della Zisa, mostra un notevole arricchimento decorativo, caratteristico della tarda età normanna; una delle nicchie contenente l’ingresso, mediante un’ampia apertura immette in un vano centrale che nel mezzo conteneva una fontana a zampillo e nelle nicchie laterali opposte, alloggiate negli avancorpi, due fontane a cascata, molto simili a quella della Zisa.

La zona centrale con la fontana è delimitata da quattro colonne collegate da archi ogivali connessi ai muri d’ambito da archetti trasversali, venendo così a formare una specie di deambulatorio sperimentale, se questo vano sia stato originariamente coperto da una cupola o scoperto, come lo si ritrova attualmente, come già in precedenza accennato, non è facile stabilire.

Da questo ambiente si accede, mediante tre porte, a una scala provvista di tre alcove che sembra fosse coperta con volte su archi traversi.

Nella Cuba si trovano introdotti quindi, due dispositivi cerimoniali, articolati sul vano centrale di circolazione, arricchimento che è proprio da individuare nelle caratteristiche dell’edificio dedicato ai piaceri e ai divertimenti dove lo sfarzo aveva la funzione di non esaltare rapporti gerarchici, quanto alla creazione di un’atmosfera dove la morale si identificava col piacere, esempio evidentissimo di questo modo di pensare è la grande sala terrena della Zisa.

Per la Cuba non siamo a conoscenza di leggende, copiose e straordinarie scaturite dalla mente feconda di sconosciuti popolani come è avvenuto per la Zisa, ma la Cuba vanta una firma illustre, infatti il Boccaccio ambientò in questo “sollazzo” una delle sue famose novelle: La sua fama era ancora viva quindi anche nel XIV secolo.

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