Un affascinante mistero cosmico ha per molto tempo creato dibattito e curiosità nella comunità scientifica e tra gli appassionati di astrofisica e cosmologia. “Lampi” luminosissimi provenienti dal profondo Universo dalla durata di pochi millisecondi ad alcuni minuti.
Questi misteriosi lampi furono scoperti alla fine del 1960 da militari Usa, grazie ad alcuni satelliti che erano alla ricerca di test nucleari sovietici in violazione al trattato di abolizione dei test nucleari. Questi satelliti rilevarono potentissimi raggi gamma, e visto che una esplosione nucleare produce anche questo tipo di raggi si pensò subito a missioni segrete non del tutto regolari.
Si trattava invece di una nuova scoperta sul nostro Universo: i “gamma rau burst” (GRB), lampi di raggi gamma. Di recente, nel primi anni del 1990, gli astronomi non sapevo nemmeno se questi lampi avessero origine ai margini del nostro sistema solare, nella nostra Via Lattea o nella nostra Galassia o incredibilmente ancora più lontano, vicino al bordo dell'universo osservabile. (Cioè, non sapevano a quale distanza i GRB sono a meno di un fattore di qualche miliardo di anni luce!). Ma ora una valanga di osservazioni satellitari, seguite a terra da basi di osservazioni, e il lavoro teorico hanno permesso agli astronomi di saperne un po’ di più.
Un grande contributo lo ha dato un satellite italiano chiamato BeppoSAX. Lo scopo fondamentale del lavoro di BeppoSax era osservare le emissioni cosmiche di raggi X, impossibili da studiare da Terra a causa della schermatura dell'atmosfera. In particolare, si voleva contribuire allo studio di quei fenomeni cosmici che emettono contemporaneamente radiazioni su un'ampia gamma di livelli energetici, per tentare di comprendere i relativi meccanismi astrofisici.
Anche se il quadro esatto dei GRB non è stato ancora elaborato del tutto, gli astronomi pensano che i fotoni dei gamma-ray-burst sono probabilmente prodotti all'interno di una stella massiccia, alla fine della sua vita. L'esplosione ha origine al centro della stella. Mentre un buco nero si forma dal collasso del nucleo della stella morente, questa esplosione invia un onda d'urto che si muove attraverso la stella a velocità vicina a quella della luce (quasi trecentomila km al secondo).
I raggi gamma vengono creati quando l'onda d'urto si scontra con il materiale stellare ancora all'interno della stella. Questi raggi gamma “escono” dalla superficie della stella poco prima che avvenga l’onda d'urto. Dietro i raggi gamma, l'onda d'urto spinge il materiale stellare verso l'esterno. Questo materiale stellare si distribuisce nello spazio a velocità prossime a quella della luce, entrando in collisione con gas e polveri presenti nelle vicinanze della stella e producendo emissioni supplementari di fotoni. I gamma-ray burst, sono prevalentemente originati vicino ai bordi estremi del Universo osservabile, ovvero da stelle poste tipicamente a distanze dell'ordine di miliardi di anni luce via.
Ciò significa che i lampi viaggiando alla "velocità della luce" (da 186.000 chilometri al secondo a meno di 300.000 chilometri al secondo), hanno impiegato moltissimi anni per raggiungerci. La nostra Terra ha un’età di circa 4,6 miliardi di anni, quindi alcuni GRB si sono verificati quando il nostro pianeta era ancora un neonato, prima che i batteri e gli oceani si formassero. Queste astri sono così lontani che appartengono alla prima generazione di stelle dell'Universo. Sebbene parecchie di queste stelle siano già morte, è solo ora che la luce dalle loro fine esplosiva ci arriva, proprio a causa dell’incredibile distanza dal nostro pianeta.
BeppoSAX ha permesso di ricostruire alcuni tasselli fondamentali del misterioso puzzle dei GRB. Nel corso della sua vita, il satellite ha osservato più di trenta gamma-ray bursts, e alla loro comparsa ha potuto lanciare immediatamente segnali di allerta ad altri strumenti spaziali o terrestri. Guidati dalle osservazioni di BeppoSAX, gli astronomi di tutto il mondo hanno scoperto che questi misteriosi lampi gamma provengono da remotissime galassie, e hanno un'energia pari a quella che si otterrebbe annichilando in luce tutta la massa del nostro Sole, in pochi istanti. Sono, in altre parole, esplosioni più grandi nell'Universo dopo il Big Bang.
Lanciato il 30 aprile del 1996, BeppoSAX era originariamente programmato per rimanere in funzione fino al 1998. E' invece rimasto operativo per ben sette anni fino a quando il 29 aprile del 2003, è stato fatto cadere nell'Oceano Pacifico. Più ancora della durata, è stata la ricaduta scientifica della missione a essere eccezionale. Già nel 2002, quando la missione volgeva al termine, erano oltre 1500 le pubblicazioni scientifiche basate su dati forniti da BeppoSAX. Lo strano nome deriva da "Beppo", il soprannome dell'astronomo italiano Giuseppe Occhialini, tra i pionieri dello studio dei raggi cosmici. Il satellite è nato da una collaborazione tra l'Agenzia Spaziale Italiana e l'agenzia olandese per i programmi aerospaziali (NIVR).
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