martedì 10 marzo 2009

BACHECA DEL BUON GUSTO

Amare la Sicilia? E’ possibile, se ci si siede a tavola

di Salvatore Parlagreco

Da qualche tempo a questa parte ovunque mi capiti di mangiare, e non solo al ristorante, mi tocca di apprezzare la buona cucina. Mia suocera prepara una pasta al forno che manderebbe in visibilio le massaie emiliane, ed ogni volta che vengo invitato dagli amici – non capita spesso, in verità – la pagella è piena di buoni voti. Nei ristoranti in cui mi sono recato negli ultimi quindici giorni, a Palermo e Noto, sono rimasto sorpreso dalla varietà delle proposte, dalla loro qualità e dall’elegante presentazione dei piatti. I ristoratori siciliani hanno aggiunto alla loro tradizionale bravura nella preparazione delle pietanze anche il buongusto. Il piatto è disegnato in maniera piacevole. Anche l’occhio vuole la sua parte, mi ripeteva un mio amico, quando lamentai la modesta “quantità” di cibo proposto in un raffinato ristorante di Strasburgo. Aveva ragione, il sapore non cambia ma il contesto sì. Se ti trovi in una comoda poltrona ma il salotto è piuttosto squallido, lo senti che manca qualcosa, no?

Beh, con l’alimentazione, è essenziale che la pietanza sia ben cucinata, questo non c’è dubbio. Ma la sua presentazione regala un plusvalore che non può non essere apprezzato.
Questa evoluzione è il segno indubitabile del fatto che i ristoratori siciliani hanno preso coscienza di potere investire nella loro attività con maggiore cura e ricavarne interessanti profitti. Nella gastronomia, così come nel settore vinicolo, infatti, si sta compiendo un autentico balzo ed i risultati arriveranno presto.
Nei due ristoranti di Palermo in cui ho mangiato, ho notato una proficua attenzione alla diversità, i piatti proposti non sono più quelli di un anno fa: la pigrizia, o la mancanza di audacia, è stata in passato un limite della ristorazione siciliana. Che è straordinariamente varia di suo.
La cucina catanese non è è uguale a quella palermitana o messinese. Ogni città ha le sue tradizioni culinarie, i piatti che l’hanno la gastronomia celebre in Italia e nel mondo. Non solo le grandi città ma anche i piccoli centri, perfino i paesini, hanno le loro pietanze. Il cibo più semplice e di maggior consumo, come il pane o la pasta, viene trattato in maniera diversa da un luogo all’altro. Il pane di Lentini è diverso da quello di Monreale o di Castelbuono. Ho amici che si fanno cento chilometri per andare a comperare pane in un piccolo centro del trapanese.
Per i formaggi avviene la stessa cosa, dalla ricotta al pecorino, le tradizioni sono diverse, il prodotto rimane ottimo.
Non è finita. I dolci siciliani sono sicuramente i migliori del mondo. Questo mio giudizio sconfina nello sciovinismo, ne sono consapevole, ma non intendo rinunciare a questa certezza, una delle poche che ho, per non farmi accusare di faziosità.
Le pasticcerie palermitane sono straordinarie. La granita catanese non può essere trovata altrove. E la pignoccata messinese è una leccornia che non ha pari. E i cannoli? Da qualche anno sono accostati alla politica, avrebbero potuto trarne svantaggio se non avessero una solida tradizione in Sicilia. La ricotta può essere lavorata in tanti modi e sempre con grande perizia.
Potrei fare un elenco interminabile di prodotti della pasticceria siciliana, dalla celebre cassata ai pupi di zucchero, alle paste di mandorla, al torrone di Caltanissetta.
La nostra disattenzione verso la gastronomia d’eccellenza siciliana è proverbiale. Mi sono accorto solo quattro o cinque anni fa che i siciliani ci sanno fare meglio degli altri quando, trovandomi in Toscana, dopo avere dato uno sguardo all’Espresso, dove c’era una classifica dei ristoranti più importanti, mi accorsi che eravamo a pochi chilometri dal top, a Colle Val D’Elsa. Ebbene, ci andai. Era un piccolo ristorane, sobrio ed elegante. Fui accolto da due giovani e belle signore in abito lungo. Mangiai benissimo ed appresi, prima di andare via, che sia il cuoco quanto il maitre erano siciliani di Pozzallo. Naturalmente, mi raccontarono la loro avventura, della quale ho perso la memoria.
Devo fare a questo punto alcune considerazioni. Non è che in Italia si mangi male o che la cucina cinese, giapponese o francese, non abbia niente da dire. Ma la Sicilia ha qualcosa di più: la diversità, forse ci manca una “continuità” di sapori nella proposta, ma ogni piatto riesce a dare il meglio di sé. Non esiste alcun altro posto nel pianeta che possa offrire altrettanto. Un tour gastronomico siciliano può riservare sorprese piacevoli, quante ne offre la natura, i tesori architettonici, le testimonianze delle antiche civiltà.
La gastronomia è cultura ed un cuoco vale quanto uno scrittore di racconti.
Ciò che è avvenuto nell’architettura, nella letteratura, nelle arti figurative, è avvenuto anche nella gastronomia. Le pietanze siciliane hanno accolto ciò che di meglio offre il mondo mediterraneo, dal cous cous ai cannoli. E i cuochi siciliani – donne ed uomini – hanno maestria e inventiva.
Nel tempo i siciliani hanno acquisito l’abitudine alla complessità, a trarre dai suggerimenti che vengono da altri luoghi, gli spunti per fare qualcosa di nuovo. Non sanno copiare, sanno reinventare le pietanze. Un solo esempio, il cioccolato. A Modica fanno il cioccolato meglio che nei luoghi in cui la materia prima viene coltivata e venduta. Ogni volta che vado a Modica, trovo novità. La cioccolata viene proposta in modo sorprendentemente diversa, senza perdere la bontà che l’ha resa celebre. E a Palermo la pasticceria del cioccolato sta spopolando. La torta ai sette veli proposta da uno straordinario pasticciere di Palermo ha fatto il giro del mondo.
Quando mi fanno osservare, perciò, che la cucina emiliana è eccellente, mi trovo d’accordo, ma eccepisco solo un  dato: i piatti emiliani si possono contare con le dita di una mano, mentre per quelli siciliani è necessario procedere ad un laborioso inventario per settore, territorio, tradizioni e così via.
Credo che sia venuto il momento di valorizzare questa tesoro, ancora nascosto, della Sicilia. Così come è avvenuto con il vino, che negli ultimi dieci anni è diventato il volano dell’economia agricola siciliana.
I siciliani sono dei poeti in cucina. Niente vieta loro di diventare dei ricchi poeti.

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