domenica 22 marzo 2009

BACHECA EVENTI - CULTURA

La corte di Federico II, primo centro culturale europeo

di Claudio Alessandri

Federico II non fu solo un raffinato politico e uomo d’armi. Egli passerà alla storia per innegabili meriti culturali; in assoluto carattere con la sua personalità inquieta ed innovativa, pose le basi di una “rivoluzione letteraria” che darà il via a nuovi percorsi linguistici e stilistici che posero fine all’uso “codificato” del colto latino iniziando l’uso del “volgare” che sarà all’origine della nostra lingua nazionale. Della descrizione della corte di Federico, contenuta nella pubblicazione vista da Mario Rivoire che noi riportiamo in uno stralcio integrale del testo, si coglie per intero la diversità nello stile di vita di un monarca dal respiro mondiale, rispetto alle figure tristi e ottuse degli altri in tutta Europa che lo precedettero e lo seguirono senza comprendere la sua grandezza intellettuale che lo confermò unico nella vita e nella storia, fenomeno fuori da ogni epoca e da ogni schema: leggiamo nel “Novellino”: “Nella corte fastosa di Federico che gira di castello in castello col seguito variopinto composto da un elefante, una giraffa, leopardi al guinzaglio, eunuchi e donne velate, falconieri e mute di cani, efebi e negromanti, si coltivano le arti e le scienze. A lui venieno sonatori, trovatori e belli favellatori, uomini d’arti, giostratori, schermitori e d’ogni maniera gente”.

Il nome di Federico II sarà per sempre legato alle origini della nostra poesia. Non importa sapere se i tre o quattro componimenti che portano il suo nome siano autenticamente suoi; egli stesso prefisse il volgare come lingua della poesia d’arte.

Federico II tentò politicamente e culturalmente di radicare il centro dell’impero occidentale in Italia. Trasferì la sua corte itinerante nel meridione italico, si impegnò in una serie di guerre per il controllo del centro e del nord Italia.

La sua azione politica e culturale fu nella Penisola, dopo secoli di appannamento, coerente e fondata su un progetto dal respiro di lungo periodo, a parte le vicissitudini non lineari della politica della chiesa romana. Il suo obiettivo culturale, parte dal piano politico generale che intendeva realizzare, intendeva costituire attorno alla corte un centro culturale autonomo da quello tradizionale di Bologna ricadente nell’influenza romana, quindi su principi strettamente religiosi.

Egli stesso compose opere letterarie: restano quattro componimenti poetici, un trattato di falconeria (“Arte di cacciare con gli uccelli”, “De arte venandi cum avibus”). Attorno a lui fiorì una corte frequentata da intellettuali: filosofi, scienziati, ma anche amministratori, polemisti e poeti. La corte di Federico II divenne un laboratorio culturale, aperto agli apporti provenienti da tutte le culture agenti allora attorno al mediterraneo: quella latina tradizionale, quella cortese e provenzale, quella araba, quella bizantina.

Nel laboratorio culturale della corte di Federico II si tentano vie nuove e autonome nella produzione poetica. Una cosa che non riesce a concretizzarsi in prodotti veramente originali, ma che ha importanza nella storia della evoluzione delle lingue post-italiche. Si tratta di una produzione che usa modelli poetici e ideologici provenienti dalla Sicilia come lingua, un siciliano affinato e rielaborato con l’utilizzo di latinismi e francesismi. Pochi sono gli esempi rimasti ( soprattutto di Stefano Protonotaro), per i più giuntici tramite traduzione di copisti toscani. Ma l’esperimento federiciano si pose come modello per poeti proprio in Toscana (Pisa, Lucca, Firenze) che innescarono una produzione in lingua locale, fondamentale per l’opera di Dante Alighieri. Il “Sommo Poeta” nell’”Eloquenza chiamò “siciliana” tutta la produzione poetica anteriore a quella toscana: per Federico fu quello il periodo più fervido di idee e varietà di interessi culturali in Italia.

Di questo spirito di rinnovamento culturale ebbe un ruolo di primo piano Pier delle Vigne.

Accanto a Pier delle Vigne operarono Michele Scoto che si era formato a Oxford, Bologna e a Toledo (il centro che trasmise all’Occidente la cultura araba); Teodoro che conosceva l’arabo e il greco; più tardi Stefano da Messina (= Stefano Protonotaro?) tradusse dal greco in latino due opere arabe: “Il libro delle rivoluzioni” (Liber rivolutionum) e “I fiori di astronomia” (Flores astronomiae), dedicati a Manfredi. Accanto a questi che ebbero un ruolo culturale di primo piano tutta una serie di intellettuali di medio e piccolo livello, che però testimoniano la diffusione della cultura e il tentativo federiciano di costruire dei veri e propri funzionari statali.

All’interno del laboratorio voluto da Federico un ruolo poetico di primo piano lo ebbero Iacopo da Lentini (c.1210/c.1260), e Guido delle Colonne (c.1210/dopo il 1287). Alcuni componimenti, come detto, li scrisse anche Federico II e ciò non è senza importanza quantomeno a significare la “dignità” che si voleva dare a questa produzione letteraria, poetarono anche i figli di Federico, Manfredi ed Enzo. Si dedicarono alla poesia pure il suocero di Federico Giovanni di Brienne, e il figlio Federico d’Antiochia. Poetarono dignitari di corte, e giovani appartenenti a nobili famiglie del regno come Iacopo Mostacci e Rinaldo d’Aquino che furono falconieri di Federico; Giacomino Pugliese e Iacopo d’Aquino. Tra i giuristi e notai, oltre a Iacopo da Lentini c’era anche Pier delle Vigne, il già ricordato Stefano Protonotaro, Guido e Odo delle Colonne.

Dopo aver dominato il gusto poetico per un trentennio (a partire almeno dalla canzone di Rinaldo d’Aquino: “Giamai non mi conforto” che si riferisce alla crociata 1227-28) la produzione federiciana ebbe termine con la battaglia di Benevento nella quale morì Manfredi, e che segnò la fine della potenza sveva.

Il fervore culturale si spostò dalle regioni meridionali a quelle centrali: e soprattutto in Toscana, focolaio della vita comunale.

E’ utile nel trattare l’internazionalità della Corte e di conseguenza dalle varie fonti dalle quali scaturì la preziosa diversità di impulsi culturali, soffermarci sui rapporti che intrattenne Federico II con gli islamici e gli ebrei, i ceppi etnici più numerosi presenti in Sicilia, prima e durante il governo federiciano.

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