mercoledì 16 dicembre 2009

MODA

Le scarpe di Manolo Blahnik sono meglio del sesso

Così Madonna, coi suoi soliti giri di parole, ha definito le creazioni di Manolo Blahnik. Sì, quello che Carrie di Sex and the City cita ogni tre per due. Semplicemente il più grande shoe designer. Lo abbiamo incontrato: ecco i suoi preziosi consigli

Mamma spagnola, papà ceco, Manolo Blahnik è nato nelle isole Canarie e da 30 anni disegna scarpe che hanno fatto sognare milioni di donne in tutto il mondo. Lui, insieme a Jimmy Choo e Christian Louboutin, era già famoso prima che Carrie di Sex and the City parlasse delle sue creazioni con venerazione e desiderio in (quasi) ogni puntata del telefilm, ma è chiaro che il serial gli ha regalato una popolarità che è arrivata anche a chi su un paio dei suoi tacchi non è mai salita. È il re del lusso, della scarpa perfetta, sensuale, originale e persino comoda. È uno dei più grandi della moda. Eppure si presenta a Vigevano, per l'apertura di una nuova sala e la ristrutturazione del Museo della Calzatura, timido, sorridente, parlando un perfetto italiano e cortesissimo. Unico vizio: un vassoio di cannoncini di cui è golosissimo, che sono il suo pranzo. A condurre la chiacchierata con lui c'è Giusy Ferrè, una delle più note e autorevoli giornaliste di moda in Italia. Alle sue domande si sono mescolate quelle delle altre giornaliste in sala e questo è quello che è emerso dall'incontro con il Re della scarpa. Tra consigli (sì ai tacchi per ondeggiare in maniera sensuale), stroncature (no alle piattaforme, volgari) e ispirazioni.

GLI ESORDI
Diciamolo subito, lei era famoso prima di Sex and the City. «Il fatto che lo sottolineiate mi fa molto piacere. Tutti mi chiedono di quel telefilm e mi hanno mandato a casa i dvd, ma ne ho visti dei pezzetti poi mi stufo e faccio altro. La tv non fa per me». Voleva diventare uno stilista di scarpe? «Volevo fare teatro, disegnare costumi e scenografie perché sono stato sempre innamorato dei film di Visconti, che mi hanno marchiato a fuoco. Poi nel 1970, durante un soggiorno a New York, presentai i miei lavori a Diana Vreeland, allora caporedattrice di American Vogue, che mi disse: "Ragazzo mio, le scenografie che fai sono divertenti e originali, ma le tue scarpe! Fossi in te mi concentrerei su quelle" e così ho fatto. L'avevano colpita delle scarpe con le ciliege che avevo disegnato per l'occasione e che poi sono diventate celebri».
LA MODESTIA
Ha preso decine e decine di premi, tra cui oggi, dalle mani del sindaco di Vigevano, la Scarpetta d'Oro. Qual è stato il più emozionante? «Mi dimentico un po' di queste cose ed è giusto così. Se no gli stilisti si credono perfetti e non è giusto. Siamo artigiani, sentirsi Re Sole tra l'altro è vecchio. Sei un lavoratore e basta. Di lusso, ma un lavoratore».
LE DONNE: consigli e stroncature
La prima cosa che nota in una donna? «Una volta avrei detto le scarpe, ma per deformazione professionale. Ora non più, guardo l'insieme». C'è un po' di feticismo nella passione per questo accessorio? «No non credo, la scarpa in sè non mi eccita. Gambe lunghe e tacchi a spillo fanno la donna bellissima. Boccio le zeppe e i plateau, orrendi. Oggi le donne sono più piccole di statura e quando indossano questo genere di rialzo si crea una sproporzione nelle forme del loro corpo». Le sue scarpe devono essere innanzitutto sexy o comode? «La comodità viene prima di ogni cosa. Perché utilizzo delle fabbriche meravigliose qua a Vigevano e l'artigianato viene prima di tutto. Al fatto che debbano essere sexy non ci penso mai, mi viene naturale». C'è differenza tra elegante e sexy? «Sta sfumando. Le donne non hanno più tempo per queste distinzioni. Escono di casa di corsa al mattino e magari non ritornano fino a dopo cena, quindi vogliono indossare scarpe che possono andare bene da mattina a sera». Lei non segue la moda eppure è sempre alla moda... «No, non la seguo! Faccio scarpe impossibili ma bilanciate perfettamente. La tendenza dovete sceglierla voi, ciascuna per come è fatta e si sente. I giornali di moda aiutano a scegliere ma poi decidete da sole. La moda non è una dittatura». I colori classici delle scarpe sono il nero, il marrone, il blu. Un po' cupi? «Io adoro le scarpe colorate. Bisogna osare». Una volta si coordinavano borse e scarpe, ora meno. «Mi piacerebbe tanto che si tornasse a farlo! Poi odio queste borsette che si vedono in giro con le catenelle. Mi piacciono le borse ben fatte, non in serie, quelle artigianali. Comunque non è necessario abbinare sempre scarpa e borsa, mi piacciono anche i giusti mix».
LE SCARPE
Da cosa le viene l'ispirazione? «Dalle cose belle. Giro, visito, osservo. L'ispirazione è una cosa che sta dentro. Ho fatto anche delle scarpe di chiffon, per esempio, poi ne ho vendute 4 paia...». Come lavora? «Invio i miei disegni qua a Vigevano (Carlo, Salvatore e Stefano sono dei modellisti fantastici), parlo con loro, interpreto, rivedo, rifaccio. Niente computer eh, non riesco!». Ci sono materiali da non utilizzare mai per le scarpe? «Si può usare tutto, anche la plastica orrenda di queste sedie. Io ho usato persino il titanio, anche se poi erano pesanti». Le sue scarpe di maggior successo? «Quelle con le ciliege». Che sono state molto copiate... «Se ti copiano significa che hai successo». Molte fiabe parlano di scarpe, mai pensato di farne un paio di cristallo? «Si romperebbero! Una volta ho fatto delle scarpe in pvc, tipo Cenerentola, per un'attrice di cui non ricordo il nome, che doveva fare un servizio fotografico su Vanity Fair. Volgari, ma è quello che voleva lei». La crisi economica ha cambiato qualcosa? «C'è, si sente, sono d'accordo. Ma prima c'era in commercio molta pessima qualità, penso che la crisi sia orribile e terribile, ma il lato positivo è che si tornerà alla qualità. Il cliente preferirà spendere bene, su un prodotto che dura. La vera spinta verrà da questo». Ci sono giovani colleghi che sta tenendo d'occhio e che reputa bravi? «C'è un ragazzo meraviglioso, Benoit Meleard. Fa cose molto d'avanguardia». I suoi competitor fanno molta pubblicità, lei zero eppure vende. Coma mai? «Me lo chiedo anche io! Sarà il passaparola. La qualità, come si diceva prima, paga».

(Giorgia Camandona per Libero News)

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