sabato 29 novembre 2008

BACHECA EVENTI - TURISMO E CULTURA -

La Sicilia illustrata, racconti e foto di una bella epoca

di Paola Pottino

Una  società siciliana colorata di rosa, eterea, elegante, fastosa, che applaude al teatro Massimo di Palermo e al teatro Bellini di Catania, che partecipa alle feste più esclusive nei palazzi aristocratici dove ospiti di eccezione, re e regine, passano lasciando il segno.

Una società siciliana aristocratica dove la lingua parlata è il francese. È  tutto floreale nella Sicilia del primo novecento, dove splende una radiosità

voluta ad ogni costo, celandosi dietro un’ ostinata evanescenza. È questo il dipinto di una rivista dell’epoca: La Sicile Illustrée, documento di “una società chiusa nei suoi castelli dorati, chiusa nei suoi giochi da salotto…” (La Sicile Illustrée – fascicoli dal 1904 al 1914 - Introduzione di Roberto Ciuni - Ed. Il Punto - Palermo). Un bellissimo e incantato affresco reo, però, di non osservare ciò che non si vuol guardare: l’altra Sicilia, quella dell’uragano del capodanno 1905, del terribile terremoto di Messina, con i suoi novantamila morti, dell’esplosione di un magazzino di polvere da sparo in via Lattarini a Palermo, del bilancio di Palermo (300.000 abitanti), per non parlare poi delle carenze igieniche e dei fabbisogni di tante famiglie disperate. Questa però è un’altra Sicilia, quella più dolorosa da vedere, più fastidiosa, più plebea. La Sicile Illustrée non si abbassa a cotanta infamia, la rivista racconta altro e nonostante i guai sociali, la grande mondanità  della Belle Epoque, trionfa magicamente con la sua “Stella d’Italia”: la bellissima Franca Jacona di Sangiuliano andata in sposa a Don Ignazio Florio, contribuì ad alimentare il mito della Palermo felicissima e, i sintomi della Grande Depressione di fine ‘800 che immiserisce soprattutto le campagne, vengono magicamente cancellati nella frenesia mondana vissuta in città.

E’ questo il dorato periodo nel quale nasce lei:  la baronessa Maria Giulia, figlia “du baruni “Francesco La Lumia della Grazia di Vallebella, (figlio di Domenico, Cavaliere di Malta) che a causa del matrimonio contratto con Manina Cammarata, nobilotta di campagna, perse i quattro quarti della nobiltà pur conservando il titolo nobiliare di Barone.

Donna Maria Giulia, viveva nel prestigioso palazzo di Via Alessandro Paternostro, a Palermo, e il barone possedeva tra le altre, una carrozza trainata da ben quattro cavalli… Donna Maria Giulia, fu educata, come le nobili ragazze dell’epoca, al collegio delle Orsoline e qui imparò l’arte del ricamo, dei fiori, ma contemporaneamente, studiò e lesse molto nell’arco della sua lunga vita. Non era quella che si definisce “una bellezza di ragazza”, ma chiunque l’abbia conosciuta, di lei diceva che possedeva una classe non comune. Per noi nipoti era molto simile ad Olivia, la fidanzata di Braccio di Ferro, con le sue gambe lunghe, il busto sottile, il grande seno e ovviamente un naso notevolmente “aristocratico”! Nella Sicilia post bellica, la dama dal collo di cigno, incontrò e sposò un uomo affascinante,  dal caratteraccio forte, imponente, ma dotato di un grande senso dell’umorismo, il Marchese Pietro Pottino di Irosa. Che il matrimonio non sia nato proprio da un colpo di fulmine, lo si percepisce anche dalla differenza d’età della coppia. Si sposarono infatti quando lei aveva 26 anni e lui soltanto 21, ma insieme hanno trascorso molto più di mezzo  secolo, e lei follemente innamorata, lo chiamò fino alla fine “il mio Bubi”. Il 29 ottobre del 1927 si sposarono nella sontuosa Cappella Palatina di Palermo e l’evento fece molto parlare le cronache dei giornali dell’epoca.  Su “Il Piccolo” Anno XXIII n. 84, si legge infatti: “…Frattanto era molto ammirato l’abito della sposa, elegantissimo, la cui magnifica traine era sorretta dalla sorellina, anch’essa adorabile in un delizioso costume assortito a quello de la sposa..” Pietro Pottino di Irosa, era invece figlio del marchese Enrico e di Donna Beatrice Papè Valdina. Si racconta che il padre Enrico, per quanto potente e ricchissimo, adottò il privilegio dello jus primae noctis (l’usanza medievale che prevedeva il diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio del proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa) e si narra ancora che essendo un uomo rigorosissimo sia nella vita privata come negli affari, quando un giorno, mentre discuteva di affari con un ospite, venne interrotto dal cameriere che gli annunciò il decesso della sorella, lui, visibilmente infastidito dalla brusca interruzione, gli rispose: “Prima gli affari e poi la defunta!”. Nonostante il padre così freddo e intransigente, nonno Pietro, noi, lo ricordiamo irascibile, simpaticissimo e generoso. Gli anni della giovinezza li visse lavorando in campagna lontano dalla famiglia, interrotti però da un lungo viaggio per l’Uruguay. Insieme a due soci, acquistò ben novemila ettari di terra, divenne caro amico del re Faruk e quando ritornava in Italia, alloggiava in un intero appartamento dell’hotel Excelsior di Roma. Grande vita quella, degna di essere raccontata sulle cronache della mondana La Sicile Illustrée, se non fosse per il disastroso epilogo: l’intera piantagione venne distrutta da una terribile invasione di cavallette e tutta l’eredità materna venne prosciugata. Tornato definitivamente in Italia, seppe però condurre una vita da certosino e trasformò un feudo dal terreno arido e brullo, in un’azienda modello. Ma questa è un’altra storia, la Belle Epoque è finita da tempo e con essa ciò che di futile, ma al tempo stesso, fondamentale, è volato via.

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